Alta sartoria Italiana, nobile tassello della storia di Napoli

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Napoli - 16 settembre 2016 - Eva Fomina

L’alta sartoria partenopea prende forma quando Napoli è al culmine dello sfarzo: capitale del regno delle Due Sicilie e importante centro socioeconomico.

Alla fine del 1400 fioriscono piccole industrie di lana e seta che propongono i loro prodotti in tutte le corti europee. La scuola sartoriale napoletana si sviluppa proprio in questi anni, in cui molti maestri sarti sono chiamati a lavorare per la Corte Aragonese.

Il successo riscosso da questi ultimi fu incredibile, tanto da essere chiamati in tutte le corti del Regno. La loro fama era più che considerevole; non stupisce infatti che all’interno della Chiesa di Sant’Eligio al Mercato a Napoli, dove nel 1351 nacque la Confraternita dei Sartori, fossero presenti i ritratti di due storici sarti napoletani: Angelo Sicignano e Romano di Stefano.

Rubinacci
Rubinacci

 

Gli abiti, soprattutto quelli di sartoria maschile, sono vere e proprie opere d’arte, che in sé celano i segreti e la storia della città di Napoli. Una tradizione sartoriale fatta di eleganza e gusto, dove anche il minimo dettaglio è cucito con maestria e attenzione.

Nel corso dell’800 la sapiente manualità dei sarti e la raffinatezza delle stoffe riportarono in auge la sartoria partenopea entrata in crisi nel ‘600. Sono piccole botteghe a conduzione familiare che, negli anni, diventeranno delle vere e proprie realtà imprenditoriali.

 

Uno stile che si riconosce al primo sguardo, soprattutto per i capi maschili; dalla lunghezza della giacca, ad esempio, che è più corta rispetto agli standard tradizionali, le cui linee morbide favoriscono il movimento e la gestualità dei napoletani. Persino i tessuti più pregiati, lavorati da mani sapienti, sono resi confortevoli da indossare. Una concezione minimalista che elimina tutto ciò che è superfluo, in modo che la giacca risulti flessuosa e leggera.

Isaia
Isaia 

 

 

 

Il segreto del successo risiede nella produzione artigianale, ovviamente, nella cura del dettaglio e nella scelta dei tessuti. Basti pensare alla camiceria, che realizza capi esclusivamente con cotone italiano, irlandese o svizzero; riconoscibilissimi poi sono i particolari, come il colletto, le maniche e le asole, cucite esclusivamente a mano.

Tuttavia nel corso del XIX secolo la figura del sarto inizia lentamente a declinare per favorire quello che si stava sviluppando nel resto dell’Europa: il pret-à-porter.

Nascono così delle piccole grandi imprese, che crescono portando avanti la tradizione dell’alta sartoria Napoletana secondo però gli standard qualitativi e di efficienza della produzione industriale. Kiton è sicuramente l’esempio lampante. Nato dalla passione di Ciro Paone, che non toglie l’artigianalità, ma anzi amplia e migliora il processo di industrializzazione con il rilevamento delle misure, la scelta delle stoffe, dei colori e del taglio. Insieme a Kiton, altri brand portano l’alta sartoria Napoletana fuori dalla Campania; tra questi Isaia, che nell’ultima collezione, per festeggiare i suoi 50 anni di attività, riprende un repertorio di abbigliamento in voga negli anni ’70, recuperando non solo le linee ma anche i tessuti e le fantasie.

Kiton
Kiton

Mario Talarico
Mario Talarico

Per non parlare poi di quei prodotti unici nel loro genere, come gli ombrelli di Mario Talarico, ricercatissimi, tanto che  nel 1860 diventa fornitore ufficiale della Casa Reale. I materiali pregiati come l’avorio, i legni, l’argento e le stampe sono da sempre un segno riconoscibile dell’alta qualità e della ricca tradizione di questo brand che ormai asseconda i gusti dei clienti più esigenti di qualsiasi età.

 

 

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