Canal Grande

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Venezia - 11 febbraio 2016 - Mario Anton Orefice

Quando si arriva per la prima volta a Venezia in piazzale Roma o alla stazione di Santa Lucia, si può pensare di essere arrivati in un labirinto, e non si sbaglierebbe di molto. Per non perdersi subito nel dedalo di stradine e calli, si può percorrere la “strada” più bella della città: il Canal Grande. Su questa via d’acqua si affacciano i più bei palazzi della nobiltà veneziana che si caratterizza per quella diversità di stili e forme che rendono unica Venezia. Dal vaporetto scorgerete nella prima parte del percorso, sulla sinistra, il rinascimentale Palazzo Vendramin Calergi, sede invernale del Casinò municipale, e la gotica Ca’ d’Oro (1440), mentre, sulla destra, si affaccia la barocca Ca’ Pesaro, oggi sede dei Musei d’Arte Moderna e d’Arte Orientale.

 

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D’improvviso, dopo una curva, appare il Ponte di Rialto, una delle icone della città. Quando nel Cinquecento la Repubblica di Venezia decise di sostituire il vecchio ponte in legno con uno in pietra, esaminò i progetti di Sansovino e di Palladio, ma alla fine la scelta cadde – destino di un nome – su Antonio da Ponte.
Appena prima di Rialto, sulla sinistra, il Fondaco dei Tedeschi, un edificio di stile bizantino che nel passato ospitava i commercianti provenienti dall’Europa del Nord.
Superato il ponte, dopo una seconda curva, s’incontrano sulla destra la barocca Ca’ Rezzonico, sede del Museo del Settecento Veneziano, e, sulla sinistra, Palazzo Grassi che ospita le collezioni e le esposizioni della Fondazione Pinault. Qualche metro più in là Palazzo Corner della Ca’ Granda, realizzato nel 1533 su progetto del Sansovino; a seguire San Marco e la maestosa chiesa Santa Maria della Salute progettata da Baldassarre Longhena.
Lungo questo breve viaggio, ammirando i palazzi veneziani, proverete le stesse sensazioni che hanno ispirato letterati e artisti come Josif Brodskij che nel suo Fondamenta degli Incurabili scrive: “Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo, alias acqua, abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo. In più esiste indubbiamente una corrispondenza – se non un nesso esplicito tra la natura rettangolare delle forme di quel pizzo – ossia degli edifici veneziani – e l’anarchia dell’acqua, che disdegna la nozione di forma. È come se lo spazio, consapevole qui più che in qualsiasi altro luogo, della propria inferiorità rispetto al tempo, gli rispondesse con l’unica proprietà che il tempo non possiede: con la bellezza”.

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