Basilica di Sant’Apollinare Nuovo

Basilica di Sant'Apollinare Nuovo

Ravenna - 26 gennaio 2016 - Karina Mamalygo

 

In gioventù il re ostrogoto Teodorico, di fede ariana, fu educato alla corte imperiale di Costantinopoli; dopo essersi impadronito del regno d’Italia e posto la sua capitale a Ravenna, costruì per la sua comunità la splendida basilica di Cristo Salvatore. Questa chiesa divenne un capolavoro insuperabile dell’arte bizantina; venne cambiata altre due volte la sua denominazione: nel tempo di Giustiniano venne dedicata a San Martino di Tour, il guerriero contro l’ eresia, ma dal IX sec. porta il nome di Basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Si pensa che questo cambiamento fu fatto quando vennero portate qui le reliquie del santo, primo Arcivescovo di Ravenna e di provenienza siriana, dalla chiesa omonima in Classe. Anche il nome «Apollinare Nuovo» venne dato per distinguerla da un’altra antica chiesa di Sant’Apollinare «in Veclo» arrivata fino a noi dopo una ricostruzione in stile barocco nel settecento.

 

La severa facciata della basilica di Sant’Apollinare Nuovo , a tre navate, con quelle laterali abbassate, ricorda l’esterno delle chiese milanesi di quel periodo; il nartece originale, aperto, non si è conservato, sostituito da un raffinato portico del XVI sec. Vicino al muro meridionale, nel X sec., fu eretto un grazioso campanile cilindrico, con numerose finestre, monofore, bifore e trifore. Le bifore decorano anche la facciata dell’edificio; le finestre larghe e numerose nei muri meridionale e settentrionale, che visualmente fanno più leggera la massa architettonica della costruzione, caratterizzano questa basilica, la prima costruita in questo stile. Basta entrare per realizzare quanto forte l’interno è stato influenzato dall’arte e dall’architettura sia Greco cristiana sia da quella di Costantinopoli.

 

© Nicola Strocchi

© Nicola Strocchi

 

 

 

La navata centrale è più larga mentre quelle laterali vennero ristrette, rispetto allo stile imperante dell’epoca e completamente aperte verso il centro della chiesa, grazie a due file di larghi archi. L’interno è inondato dalla luce che entra con i suoi raggi dalle finestre, la forma materiale della chiesa sembra leggera e quasi in movimento, ciò è dovuto al ritmo ondulato degli archi, le colonne di marmo dal disegno ricercato sembrano lievi e sottili frange che cadono dal tappeto dorato dei mosaici.

 

Non è casuale il volere dell’architetto di allargare lo spazio centrale della basilica, che serviva per i cicli liturgici nei quali erano inclusi sia i fedeli ma anche i Santi Martiri e le Sante Vergini raffigurati nella parte superiore dei muri. Il terzo livello è occupato dagli eventi della vita terrena di Cristo: nel muro a nord le scene dei miracoli, nel muro meridionale la passione, esclusa la Crocefissione. Per la prima volta nell’arte cristiana gli episodi del Vangelo sono rappresentati nell’ordine che hanno nel servizio liturgico. E’ significativo che nei miracoli troviamo Cristo giovane, ma nelle composizioni della passione vediamo il Salvatore rappresentato come un uomo più anziano e barbuto. Gli schemi delle composizioni possono essere sia del tipo simmetrico, oppure, centralizzato, comunque con la figura di Cristo più grande rispetto alle altre. Si vede che le formule delle immagini della vita di Cristo qui siano ancora in formazione. I colori dei mosaici sono così concentrati ed intensi che portano la mente dello spettatore fuori dalla realtà terrena, dentro alla Gerusalemme Celeste, dove «le piazze sono d’oro, come di cristallo trasparente» (Ap. 21:21).

 

© Archivio Fotografico Comune di Ravenna

© Archivio Fotografico Comune di Ravenna

All’atto liturgico partecipano anche gli Apostoli e i Profeti, i testimoni della esistenza del Paradiso, che occupano il livello mediano delle pareti. La luce pura, simbolicamente rappresentata dai fondi dorati, entra anche tramite le finestre, è l’ambiente dove essi esistono. Le loro essenze fluttuano in adorazione davanti al Trono Celeste, e qui non ci sono ombre. Gli altri abitanti del Regno Celeste sono le colombe, i pavoni e i fagiani.
Le Vergini e i Martiri che si dirigono verso i troni della Regina e del Re Celeste sono, senza dubbio, la parte più importante dei mosaici, sia dal punto di vista del loro significato, sia dal punto di vista puramente numerico. La Madre di Dio e il Salvatore accettano l’adorazione sia di tutti i fedeli nel tempio sia dei Santi; la reale presenza dei Martiri e delle Vergini si conferma nella posa delle loro reliquie dentro i muri, direttamente sotto i loro ritratti a mosaico. La scelta di questi, rappresentati nella basilica, fu definita dalla loro presenza nell’allora corrente recitazione delle preghiere per il ricordo dei defunti: l’ubbidienza del Re terreno al Re Celeste era mostrata dai ritratti di Teodorico e sua moglie, i primi delle due file.

 

© Pini

© Pini

 

I Bizantini sostituirono le immagini del re ariano e di sua moglie col ritratto di San Martino, dal quale la basilica ha preso poi il nome e dei tre Re Magi che portano doni a Gesù ed a sua Madre che, vestita con un maforion porpora si siede sul trono col Bambino, vestito con una tunica ed un imatio bianchi, affiancati da quattro Angeli, anche loro in abiti cosi bianchi che “più bianchi di quelli che potrebbe fare alcun lavandaio sulla terra” (Mc. 9:3) e con i bordoni in mano. Sul muro opposto Cristo sul trono, vestito di un imatio porpora con il clavos dorato, come il vestito dell’imperatore, tiene nella mano sinistra il simbolo dell’ ”asse del Mondo” e dell’amore divino, che unisce tutti i viventi.

 

I volti di tutti i personaggi si rifanno ad uno stesso archetipo, secondo la teologia di Dionisio Areopagita (VI sec.): «quelli che accettano lo stesso cibo (Eucarestia) devono avere la stessa espressione». A chiudere le file dei Martiri e delle Vergini sono rappresentati il palazzo di Teodorico e la veduta di Civitas Classis, sulle loro colonnine si vedono le tracce di figure umane cancellate, sicuramente personaggi della corte ostrogota.

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